22 gennaio 2024
Oggi vi voglio raccontare una storia. Una storia che inizia con la più classica delle introduzioni:
C’era una volta un’alta Montagna, ricoperta di prati e di foreste, di pascoli e di rocce nude, e solcata da innumerevoli ruscelletti limpidi e freschi. E sulla sua sommità portava un gran cappello. Un cappello bianchissimo e purissimo, di ghiaccio solido e irremovibile.
E la Montagna era felice, consapevole di essere casa e madre per tutti gli animali e le piante che in lei trovavano rifugio.
Tuttavia, un bel giorno d’estate, all’improvviso vi fu un gran trambusto. La Montagna si trovò scossa, risvegliata in gran subbuglio da un frastuono incessante. Una battaglia aveva preso inizio proprio sopra di essa. E mai la Montagna se lo sarebbe aspettato.
Erano i suoi più grandi ospiti che si sfidavano: la signora Foresta e il signor Prato. Questa battaglia prese ben presto il nome di “Kampfzone” e, inaspettatamente, non fu vinta né da Foresta né da Prato bensì da un terzo, inarrestabile, sfidante: “Krummholtz”!
I protagonisti della storia introducono ciò che realmente, da un punto di vista ecologico, accade incessantemente sulle nostre montagne, in particolare sulle Alpi. Mi ha sempre affascinato l’idea di una sorta di battaglia tra i diversi componenti di un ecosistema al fine di sopravvivenza e predominazione sull’”avversario”. Ed in effetti, sebbene in modo romanzato, la sfida tra foresta (presente alle quote inferiori) e le praterie naturali di alta quota è fatto reale, e i Krummholtz altro non sono che quegli arbusti contorti, modellati dall’azione continua di vento e neve, che si stabiliscono proprio sulla linea di margine tra le formazioni forestali e prative subalpine: la Kampfzone, ossia “zona di battaglia”.
Ma cosa c’entra tutto questo con il clima e con le genti che abitano le montagne?
Proprio questa Kampfzone è ciò di più evidente che può trovarsi sui rilievi alpini. Di difficile interpretazione, ma relativamente facile ad individuarsi, anche da osservazioni aeree e satellitari [1].
Inoltre, questa zona di margine, che varia in ampiezza, densità degli arbusti e degli alberi presenti, dinamiche vegetazione, è ciò di più complesso che in termini ecologici si può trovare sulle Alpi, in quanto governata da processi indotti da equilibri particolarmente delicati.
Negli ultimi due decenni la tendenza di questa linea è alla migrazione. E le concause sono tanto naturali quanto antropiche. Una migrazione che per la verità non è fatto nuovo per questo ecosistema, che risulta da secoli modellato dall’azione dell’uomo.
Già a partire dal XVII secolo, infatti, mediante azioni di intenso disboscamento, questa linea di margine fu, di fatto, abbassata rispetto alla sua quota naturale, andando così a creare artificialmente prati e pascoli utilizzabili a fini agricoli e di allevamento. In seguito, a partire dal secondo dopoguerra, la situazione economico-sociale delle vallate alpine ha spinto ad una tendenza all’abbandono delle tradizionali pratiche agricole, tanto da risultare in una rapida perdita di interesse per la cura e lo sfruttamento dei pascoli e dei prati d’alta quota, innescando un processo di graduale ricolonizzazione del bosco verso le quote più elevate. Insomma, una rivincita della natura sull’uomo [2].
Fig. 1: Limite potenziale del bosco. Foglio #12 - CANAZEI. Elaborazione 3D propria. Fonte: [2]
Tuttavia, questa rivincita della natura, sebbene costante dagli anni ’50, si sta di fatto rivelando un po’ troppo a favore della natura e soprattutto in modi inaspettati.
Perché se è pur vero che la crescita del bosco è di per sé un fatto positivo, bisogna necessariamente considerare a scapito di cosa questa crescita stia avvenendo. La mappa di Figura 1 mostra come la Linea del bosco (che possiamo qui intendere come la Kampfzone) risulti molto variabile in dipendenza dalle azioni antropiche di disboscamento, con le zone in rosso e in arancione che rappresentano le aree potenzialmente occupabili dalla foresta ma nella realtà ancora non ricolonizzate.
Questa dinamica risulta ad oggi molto diversa. È vero che si registra un generale innalzamento delle formazioni forestali a scapito delle praterie di alta quota, ma il punto chiave è comprendere come questo innalzamento sia seguito o meno anche da un innalzamento del limite inferiore del bosco, ossia quello a margine con il fondovalle.
Insomma, dove stanno andando queste foreste?
La risposta a questa domanda – come di consueto per molte questioni ecologiche – è che dipende. Dipende dal tipo di specie caratterizzante le formazioni forestali, dall’area geografica, dalle dinamiche socioculturali ed economiche del territorio, dai metodi di analisi. In generale, però, si può considerare come, per le Alpi, la tendenza all’innalzamento delle foreste di Abete rosso, che si espande verso quote più elevate ma che sposta anche la sua presenza rispetto al limite inferiore, rappresenta una delle dinamiche di più grande impatto sulla realtà di questi territori, e non solo in termini puramente ecologici.
La dipendenza economica e culturale instauratasi con questa specie nel corso dell’ultimo secolo [3], ha fatto si che la gran parte del territorio forestale, perlomeno delle Alpi orientali, sia da essa occupato. Un innalzamento della quota della specie, tale da far sì che essa sia presenta oltre l’attuale limite (anche potenziale) del bosco, e una contemporanea perdita della specie alle quote inferiori, più accessibili, meccanizzabili e dunque di più facile utilizzo, obbliga necessariamente anche ad un cambio di strategia nei confronti delle tecniche di prelievo e selvicolturali per il futuro. E così come per l’Abete rosso, ciò avviene anche per molte altre specie che modificano, espandono, riducono il proprio areale di presenza, rendendo mobile e trasformante ciò che fino ad oggi abbiamo reso e credito immutabile [4].
Anche in questo ci toccano da vicino i cambiamenti climatici, che sulle montagne si fanno evidenti tanto quanto in città e ci obbligano a modificare i nostri piani in vista di un futuro diverso da come ce lo eravamo programmato.
Bibliografia:
Clicca qui per espandere i riferimenti[1] L. Dinca et al., “Forests dynamics in the montane alpine boundary: a comparative study using satellite imagery and climate data,” Climate Research, vol. 73, no. 1-2, pp. 97-110, 2017.
[2] P. Piussi, Carta del limite potenziale del bosco in Trentino, Trento: Provincia Autonoma di Trento. Servizio Foreste, Caccia e Pesca, 1992.
[3] M. Cerato, Le radici dei boschi. La questione forestale del Tirolo italiano durante l’Ottocento, Publistampa Edizioni, 2019.
[4] S. Noce, C. Cipriano and M. Santini, “Altitudinal shifting of major forest tree species in Italian mountains under climate change,” Frontiers in Forests and Global Change, vol. 6, 2023.
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Immagine copertina e anteprima: Forests, meadows, pastures and villages in Neustift im Stubaital (Tirol, Austria). Photo: Author. 07.11.2022