November 30, 2023
Le catene montuose più iconiche ed ecologicamente diverse d'Europa, le Alpi, svolgono un ruolo cruciale nel sostenere un ampio spettro di habitat e biodiversità, fornendo al contempo servizi ecosistemici essenziali [1]. Tuttavia, questa regione sta affrontando sfide ambientali significative, tra cui il degrado degli habitat e gli effetti negativi del cambiamento climatico [2]. In risposta a queste sfide e con l'obiettivo di promuovere il ripristino e la conservazione degli ecosistemi alpini, è stata posta una notevole enfasi sull'attuazione di misure di rimboschimento ad alta quota come potenziale soluzione [3].
La regione alpina è soggetta a diversi rischi naturali, come valanghe, cadute di massi e frane, che possono potenzialmente sia mettere danneggiare le infrastrutture sia mettere a rischio le popolazioni di queste aree. Le foreste svolgono un ruolo cruciale nella mitigazione di questi rischi, offrendo funzioni protettive [4], [5], [6].
Le iniziative di rimboschimento nelle regioni alpine, avviate a partire dagli anni '60, hanno dimostrato una notevole efficacia nel fornire protezione e nel fungere da valida alternativa o integrazione alle misure tecniche convenzionali. Tuttavia, è indispensabile una considerazione approfondita di fattori essenziali come il tipo di suolo, l'altitudine, le tecniche di impianto, l'esposizione e le implicazioni socioeconomiche. È fondamentale soppesare l'applicabilità e i vincoli di tali interventi, soprattutto al limite superiore degli alberi nelle aree montane, dove fattori come il potenziale di crescita e l'impatto favorevole delle strutture protettive ne influenzano significativamente l'efficacia.
Tuttavia, è indispensabile una considerazione approfondita di fattori essenziali come il tipo di suolo, l'altitudine, le tecniche di impianto, l'esposizione e le implicazioni socioeconomiche. È fondamentale soppesare l'applicabilità e i vincoli di tali interventi, soprattutto al limite superiore degli alberi nelle aree montane, dove fattori come il potenziale di crescita e l'impatto favorevole delle strutture protettive ne influenzano significativamente l'efficacia. La distinzione tra foreste a protezione attiva e passiva si basa sulla loro risposta a questi fenomeni. La protezione attiva prevede il posizionamento strategico delle foreste in prossimità di beni come persone, edifici e infrastrutture stradali, mentre la protezione passiva assume un ruolo spaziale più ampio.
L'efficacia di queste strutture biologiche protettive dipende da una gestione attiva delle foreste, che favorisca la resilienza e la persistenza di fronte ai disturbi naturali e antropici. Sfide come le epidemie di bostrico, gli incendi e gli schianti da neve possono incidere profondamente sulla funzionalità e sull'efficacia del sistema forestale protettivo. Pertanto, una gestione forestale continua e proattiva è essenziale per mantenere le funzioni protettive previste.
Come per tutte le foreste pianificate, gli obiettivi di gestione forestale e selvicolturale per le foreste di protezione si sviluppano come processi a lungo termine, con risultati previsti e proiettati per decenni. Ciò sottolinea l'importanza di considerare le foreste di protezione non solo come soluzioni immediate, ma anche come componenti integrali di ecosistemi sostenibili e resilienti, con risultati che si estendono su un arco temporale più lungo.
Fig.1: Malga alpina nel biellese (Italia) con presenza di una foresta di protezione e di una frana recente. Foto di Vittorio Sella – Biella. Fonte: [7]
Foreste di protezione contro il rischio di caduta massi
Le foreste di protezione contro i rischi da caduta massi nelle zone alpine devono affrontare sfide complesse legate alle caratteristiche degli alberi, alla loro disposizione e alla densità. La posizione strategica delle piante emerge come un fattore cruciale, poiché l'efficacia delle foreste varia notevolmente nelle diverse fasi del processo di caduta dei massi lungo un versante.
Nella zona di distacco, le piante mostrano generalmente una limitata capacità nel prevenire il rilascio dei massi, e si evidenziano rischi di fratturazione delle rocce causati dalle radici e dagli essudati radicali corrosivi. Gli accorgimenti tecnico-selvicolturali includono l'uso di specie a latifoglia gestite a ceduo, caratterizzate da dimensioni più contenute in diametro e altezza rispetto alle formazioni forestali alpine di conifere.
Nella zona di transizione, gli alberi agiscono come veri dissipatori di energia, ma la dimensione dei tronchi rappresenta un delicato compromesso tra efficacia e rischio di disseccamento. La densità degli alberi riveste un ruolo cruciale. Tuttavia, una foresta eccessivamente densa potrebbe non essere sostenibile dal punto di vista biologico. Studi indicano che una lunghezza minima di 250 metri lungo il pendio è essenziale per l'efficacia delle foreste di protezione in questa zona.
Infine, nella zona di deposizione, su pendenze inferiori ai 25°, la foresta contribuisce a ridurre la lunghezza del percorso di arresto delle rocce. L'efficacia delle foreste dipende da una pianificazione attenta e dalla gestione adatta alle specifiche condizioni del sito, evidenziando la complessità di equilibrare la protezione e la sostenibilità biologica in ambienti alpini esposti a rischi geologici.
Foreste di protezione contro le valanghe
Le cenosi forestali alpine sono fortemente influenzate nella loro stabilità, resistenza e capacità di crescita e rispristino dagli effetti conseguenti alla presenza della neve.
In termini, invece, di effetti ecologici del disturbo a livello di singolo albero, si noti come la correlazione sia determinante in merito all’altezza della pianta, al suo diametro e alla flessibilità del fusto, da cui sostanziali differenze in relazione alle diverse specie.
Come è ovvio pensare, per alberi di dimensioni importanti e di specie coriacee quali abete rosso, larice e pino cembro, la tendenza in seguito al passaggio del fronte di valanga è allo spezzamento, che, sulla base della massa della valanga stessa, può verificarsi anche ad altezze elevate da terra. Nella maggioranza dei casi, comunque, per piante già in fase di perticaia, con diametro superiore ai 15-20 cm, delle specie sopra riportate, si considera un’altezza di spezzamento inferiore ai 2 m da terra.
Per le altre specie forestali, e dalle dimensioni ridotte (inferiori ai 5 m), il passaggio della valanga si risolve solitamente con il solo piegamento del fusto. Tuttavia, anche per specie molte elastiche (Betulla, Ontano, Acero, Salice etc.) si è riscontrato come già a diametri relativamente piccoli (6-14 cm) la tendenza sia allo spezzamento completo [8].
Come nel caso dei fenomeni di caduta massi, infine, si consideri come anche le valanghe possono incidere fortemente sul limite superiore del bosco, abbassandolo rispetto a quello teoricamente imposto dalle condizioni climatiche locali.
Questo articolo è stato realizzato nell'ambito del progetto "PILLOLE D'ACQUA PIANA: seminari itineranti, blog e podcast per una gestione sostenibile delle risorse idriche in Piana Rotaliana", attuato dall'associazione ECONTROVERTIA APS e sostenuto dalla Fondazione Caritro (Prot. n. U445.2023/SG.386 del 23 aprile 2023).
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Bibliografia:
[1] J. Gehrig-Fasel, A. Guisan and N. E. Zimmermann, “Tree line shifts in the Swiss Alps: Climate change or land abandonment?,” Journal of vegetation science, pp. 571-582, 2007.
[2] P. Bebi, R. Seidl, R. Motta, M. Fuhr, D. Firm, F. Krumm, M. Conedera, C. Ginzler, T. Wohlgemuth and D. Kulakowski, “Changes of forest cover and disturbance regimes in the mountain forests of the Alps,” Forest ecology and management, vol. 388, pp. 43-56, 2017.
[3] A. Gazol, J. J. Camarero, S. M. Vicente-Serrano, R. Sánchez-Salguero, E. Gutiérrez, M. de Luis, G. Sangüesa-Barreda, K. Novak, V. Rozas and P. A. Tıscar, “Forest resilience to drought varies across biomes,” Global change biology, vol. 24, no. 5, pp. 2143-2158, 2018.
[4] F. Poratelli, S. Cocuccioni, C. Accastello, S. Steger, S. Schneiderbauer and F. Brun, “State-of-the-art on ecosystem-based solutions for disaster risk reduction: The case of gravity-driven natural hazards,” International Journal of Disaster Risk Reduction, vol. 51, 2020.
[5] J. Sebald, C. Senf, M. Heiser, C. Scheidl, D. Pflugmacher and R. Seidl, “The effects of forest cover and disturbance on torrential hazards: Large-scale evidence from the eastern alps,” Environmental Research Letters, vol. 14, no. 11, 2019.
[6] J. R. Breschan, A. Gabriel and M. Frehner, “A topography-informed morphology approach for automatic identification of forest gaps critical to the release of avalanches,” Remote Sensing, vol. 10, no. 3, p. 433, 2018.
[7] G. di Tella, Il Bosco Contro il Torrente. La redenzione delle terre povere, Touring Club Italiano, 1910.
[8] E. Lingua, F. Bettella, M. Pividori, R. Marzano, M. Garbarino, M. Piras, M. Kobal and F. Berger, “The protective role of forests to reduce rockfall risks and impacts in the Alps under a climate change perspective,” in Climate Change, Hazards and Adaptation Options: Handling the Impacts of a Changing Climate, 2020, pp. 333-347.
Cover and Preview image: Foresta ad alta quota di protezione contro le valanghe in St. Sigmund im Sellrain, ca. 1.650 m s.l.m. (Tirol, Austria). Foto: Autore. 07.11.2022