04 settembre 2020
“Non ne capisco un fico secco” penso, seduta e affranta nel mio giardino davanti al fico (ficus carica) enorme, immobile e pieno di ferite. Lui e il mio bisnonno devono essere stati giovani insieme. Durante la guerra il mio bisnonno alzava le tavole che coprivano i canali d’irrigazione e ci si nascondeva sotto, aspettando che passasse la ronda fascista che cercava gli anarchici. Poteva passarci ore lì sotto, a volte giorni. Lui non vedrà la fine della guerra e morirà di crepacuore poco dopo, distrutto da quella vita vissuta nel terrore, ma il fico no. Lui ne uscirà indenne per vedere la nascita di mia mamma in quella casa e poi ancora, il mio arrivo in fasce e le mie capanne sotto i suoi rami.
C’era la pandemia e tutti avevano problemi più seri del mio fico. Il lavoro che non ripartiva, compreso il mio, e poi il numero crescente di contagiati e il terrore di spostarsi, ammalarsi, infettare. Sarei dovuta partire il 9 marzo per una missione di un anno in Cambogia, ma la pandemia aveva bloccato anche me e adesso mi ritrovavo ad affrontare una strana primavera per la prima volta dopo anni, nel giardino di casa.
Il mio fico non è particolarmente bello né armonico. È storto e ritorto. È cresciuto in un angolo e si allunga verso il centro del giardino e, come tutti i fichi, sembra avere un innato attaccamento alla vita. Qualcuno della mia famiglia molti anni fa, per impedire che si espandesse troppo nel giardino, deve avergli piegato un ramo ancora tenero verso l’interno ed è cresciuto così, con una forma innaturale che poi ha trovato il suo equilibrio e ora si allunga verso l’alto.
È una pianta rustica dicono tutti, non ha bisogno di cure e dà frutti completamente “biologici” senza nessun bisogno di trattamenti. Difficilmente viene attaccata da malattie e parassiti e si cicatrizza con velocità. Sarà per quello che da anni sta nell’angolo del mio giardino senza che nessuno veramente si accorga di lui se non a settembre, quando ci riempie di piccoli succosissimi frutti dalla buccia viola.
Il fico sporca, il fico infesta, il fico ricresce anche se lo tagli cento volte, il suo latte è irritante e poi non ci salire sopra perché il fico è traditore. Lo sento ripetere da anni eppure non riesco a far finta di niente pensando che, anche se dovesse morire, ributterebbe. Gli ho visto quei buchi nel tronco e mi rendo conto che il ritardo nelle foglie non è dovuto ad un’annata un po’ infelice per tutti ma deve esserci qualcosa di più. Sarà per il mio attaccamento a lottare per quelle cause che alcuni definiscono perse o sarà perché mi rendo conto che quel fico ha assistito a tutta la mia vita e a buona parte di quella della mia famiglia che non riesco proprio a non fare niente, mentre so che qualcosa lo sta logorando da dentro.
A questo punto, come ogni umano disorientato e impaurito del nuovo millennio che si rispetti, chiedo aiuto a Google indicando i sintomi, l’area geografica e la problematica. Google si rivela un prezioso alleato, suggerendomi l’infestazione da punteruolo nero.
So di non essere una botanica, né un’agronoma e, a dirla tutta, so di avere una predilezione solo per le piante grasse che notoriamente non richiedono grandi doti a chi le cura. Penso che non so niente di entomologia e che al massimo ho letto dei pannelli informativi in un museo in Thailandia, che sono laureata in scienze politiche ed ho una specializzazione in storia delle religioni, e che tutto questo fa di me una completa inetta davanti ad un albero attaccato da una specie alloctona che lo divora da dentro. Dalla mia ho solo una forte attitudine a lottare contro le ingiustizie. Si, le ingiustizie, perché per me è di questo che si sta parlando.
Fig. 1: adulto di punteruolo del fico. Fonte: autrice.
Stando a quel poco che si sa, l’alees cribratus (per i nemici “punteruolo nero del fico”) arriva sui nostri lidi con un carico di fichi infetti al porto di Genova, trova un clima abbastanza gradevole per i suoi gusti e si insedia. Piano pianino, larva dopo larva, fico dopo fico esce dalla Liguria ed approda in Toscana. Dove arriva distrugge una coltura dopo l’altra e poi avanti nella sua conquista potenzialmente illimitata visto che al momento non ha antagonisti naturali (se non consideriamo me e qualche altro valoroso combattente chiaramente).
Il fico è completamente indifeso e questo lo rende, ai miei occhi, meritevole di tutti gli sforzi possibili. La femmina adulta del punteruolo depone una sola larva alla fine di un minuscolo forellino generalmente nel colletto dell’albero. La larva per nutrirsi e crescere comincia la sua lenta e inarrestabile risalita del tronco dove scava profondi cunicoli masticando e digerendo la polpa dell’albero. Il tutto avviene praticamente senza che dall’esterno si noti nulla, finché la larva non è ormai insetto e riemerge più in alto nel tronco per poi uscire e continuare il suo ciclo indisturbata. Nella maggior parte dei casi ci si accorge dell’infestazione quando l’albero è talmente svuotato da spezzarsi alla base.
Fig. 2: colature di segatura lasciate sul tronco dal punteruolo del fico. Fonte: autrice.
Dal poco che emerge da internet non ci sono grandi ricerche in merito e, ad oggi, non ci sono rimedi efficaci, ma solo qualche palliativo che ci si passa come raccomandazione tra un blog di agricoltura e l’altro. Vista la situazione penso che qualunque cosa possa fare la differenza e comincio con quello che mi suggerisce l’intuito. Tra i consigli più gettonati c’è quello di lavare l’albero con dei forti getti d’acqua per infastidire gli insetti adulti e farli uscire allo scoperto nel tentativo di catturali. È così che mi ritrovo faccia a faccia con il primo punteruolo nero. Ho delle reazioni simil-isteriche perché non so bene come comportarmi e non so bene quali siano le sue armi. Ci guardiamo sospettosi ma poi, mossa da disperazione, lo fermo tra pollice ed indice. Le sue zampe fortissime si attaccano e cercano di liberarsi dalla presa delle mie dita senza riuscirci. Mi rendo conto con gli esemplari successivi che non è dotato di particolare velocità, che non cerca di volare e che se si sente preso in trappola si lascia cadere fingendosi morto. In una giornata ne catturo 12, ma non basta perché le larve sono il mio vero problema.
Per cercare le larve parto dalle “colature di segatura” che trovo sul tronco e seguo il cunicolo che prosegue in profondità dentro il tronco con un pezzetto di fil di ferro. Procedo a tentoni svuotando pazientemente tutto il cunicolo senza sapere se arriverò mai a qualcosa finché la segatura non finisce e il fil di ferro riemerge umido e con della colatura bianca. Ho trovato la mia prima larva. La aggancio con l’estremità del fil di ferro e quando esce sento un pezzetto del peso che mi porto dentro staccarsi. Forse ce la possiamo fare.
In realtà in breve tempo mi rendo conto che le larve sono molto più di quello che si vede. È bastato scavare un po´attorno alle radici per accorgersi che sono tutte piene di cunicoli, martoriate e in alcuni punti già cicatrizzate. Il fil di ferro non mi basta più e allora prendo un cacciavite ed un martelletto e comincio a scavare dove il tronco è più morbido e questo mi permette di trovare una ventina di larve cicciotte, affamate e distruttrici. Ad ogni estrazione sento di alleviare un po’ il dolore dell’albero ma cresce anche la consapevolezza che le ferite sono molte più di quello che pensavo e l’infestazione più profonda.
In breve tempo l’albero diventa il luogo di un delitto efferato e attorno a lui la scena del crimine si sviluppa e gli oggetti d’indagine si moltiplicano: vasetti di alcool dove gettare le larve e gli insetti raccolti, pinzette, martelli, fil di ferro, guanti e pennelli. Le ferite vengono disinfettate con del verderame e la terra attorno alle radici smossa e ripulita per assicurarsi che non ci siano insetti interrati.
In breve, capisco che non solo quello che sto facendo ha un impatto ma che può essere anche utile ad altre persone che potrebbero avere lo stesso problema e magari può anche servire per creare una rete dove scambiarsi consigli. Così comincio a fare video di tutti i ritrovamenti, dell’estrazione delle larve, delle tracce che lasciano, dell’azione di scavare con un cacciavite al buio nel tronco di un albero e creo un canale YouTube “lalarvainseno” nel quale non tardano ad arrivare consigli, suggerimenti e richieste di aiuto. Fra i più utili quello di un signore che mi suggerisce di coprire il tronco con una rete per impedire a nuovi esemplari di raggiungerlo e ad eventuali adulti che nascano dalle larve di andare a nutrirsi di foglie e frutti sulla chioma.
Fig. 3: indagini e scene del crimine sul fico del bisnonno. Fonte: autrice.
Alla fine anche la mia laurea e i miei anni di esperienza nel mondo della cooperazione inaspettatamente si rivelano utili. Ho pensato di adattare un software che si usa per fare questionari nei villaggi sperduti dell’Africa, per creare una mappa locale degli esemplari infetti, di quelli morti e di quelli in salute cercando allo stesso tempo di classificarne la specie e l’età per creare una banca dati di quello che sembra stia andando perduto, nel tentativo di rallentarne il processo.
Ad oggi l’albero si presenta con un delizioso tutù verde attorno al tronco, e, come se dovessimo compensare anni di noncuranza, non passa giorno in cui non venga controllato ed ispezionato per intercettare il più velocemente possibile eventuali nuove larve. Non possiamo dire ancora se è salvo,
le radici e parte del tronco sono profondamente solcate ma non mostra ancora segni di cedimento e nonostante tutto, come ogni settembre che si rispetti da cent’anni a questa parte, ha qualcosa in serbo per noi: viola, piccolino e succosissimo.
Sitografia:
‘Armonia Verde’: “Ecco i rimedi contro il punteruolo nero”. (2017, July 28). Luccaindiretta. https://www.luccaindiretta.it/in-azienda/2017/07/28/armonia-verde-ecco-i-rimedi-contro-il-punteruolo-nero/99224/
Gargani Elisabetta, & Benvenuti Claudia. (2017, February 14). Il punteruolo nero del fico: Un’emergenza in Toscana; si cercano soluzioni. Rivista di Agraria.org. https://www.rivistadiagraria.org/articoli/anno-2017/punteruolo-nero-del-fico-unemergenza-toscana-si-cercano-soluzioni/
Bibliografia:
Ciampolini, Farnesi, Scarselli, & Lorenzi. (2008). Contro il curculionide del fico decisiva la lotta agli adulti.
Ciampolini, M., Perrin, H., & Regalin, R. (2005). Aclees Cribratus, nuovo per l’Italia nocivo per il fico allevato in vivaio. 4.
Ciampolini, Regalin, R., Ivano, F., & Claudio, C. (2007). Prime osservazioni sulla bio-etologia di Aclees sp. (Curculionidae, Molytinae) esiziale a Ficus carica L. in Italia. ResearchGate.
