26 luglio 2024
L'Unione Europea, come indicato dall'Agenda 2030 con uno specifico obiettivo di sviluppo sostenibile, sta da tempo cercando di regolamentare le attività di pesca nei propri mari, data l'importanza del settore sia in termini di flotta (quasi 80.000 imbarcazioni) che di maggiore importatore di prodotti ittici (34% del commercio totale) [1]. Per raggiungere questo obiettivo, negli ultimi anni è stato compiuto uno sforzo significativo per porre fine alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (IUU pesca) per costruire un'industria ittica globale e nazionale sostenibile, visto che a livello globale il consumo pro capite di pesce supera i 20 kg all'anno (con una media europea di 25 kg e italiana di 28 kg) [2].
La crescente domanda di pesce da parte del mercato è soddisfatta principalmente dalla pesca a strascico, che rappresenta il 65% delle catture nazionali, anche se coinvolge solo un quarto della flotta. È noto come questo tipo di pesca danneggi la biodiversità dei fondali marini, ma oltre ai suoi effetti deleteri bisogna considerare i danni causati dalla pesca illegale. Entrambi i fenomeni sono caratterizzati dalla mancanza di strumenti normativi in grado di fermare i notevoli vantaggi economici della pesca INN che, come si legge in una relazione speciale pubblicata nel 2022 dalla Corte dei Conti europea, è “una delle maggiori minacce agli ecosistemi marini, che mina gli sforzi per una gestione sostenibile delle risorse ittiche” [3].
Nutrire dieci miliardi di persone nel 2030 diventa un obiettivo ancora più ambizioso se alla pressione del settore ittico si aggiunge quella dell'industria zootecnica e agricola in generale. Per questo motivo, negli ultimi anni si sono moltiplicati gli allevamenti ittici in mare aperto e a terra. L'acquacoltura si concentra sulle specie che portano maggiori profitti (come spigole, orate e salmoni), che vengono allevate il più delle volte in aree chiuse perché in mare aperto dovrebbero affrontare tempeste e onde che aumenterebbero i costi. Questo tipo di allevamento fa sì che il materiale organico prodotto dai pesci rimanga in sospensione, poiché le correnti non lo portano via, e come si è visto in alcune zone della Grecia e della Turchia, non c'è più posidonia, vita e, in generale, biodiversità [4].. Additionally, infestations of parasites are common, which, as happens on land, are treated with chemicals, antibiotics, and even formaldehyde added directly to the tanks.
Le conseguenze sono ovviamente a carico degli abitanti del luogo che si rendono conto della scomparsa dei pesci selvatici (come in Norvegia, dove i salmoni sono quasi scomparsi), ma l'inquinamento delle risorse idriche è un danno per tutta l'umanità. Un altro problema è l'alimentazione dei pesci d'allevamento: spesso vengono nutriti con mangimi ricavati da piccoli pesci pelagici come le sardine pescate nelle acque dell'Africa occidentale. Secondo uno studio pubblicato dalla ONG britannica Feedback, nel 2020, circa due milioni di tonnellate di pesce selvatico sono state utilizzate come mangime per produrre 1,5 milioni di tonnellate di salmone. La maggior parte di questo pesce è stata importata dall'Africa occidentale, dove avrebbe potuto sfamare tra i 2,5 e i 4 milioni di persone [5]. È chiaro che l'acquacoltura promette sostenibilità, ma priva le comunità locali di risorse primarie, fallendo sostanzialmente il suo obiettivo.
L'ultimo documentario di Francesco de Augustinis, Fino alla fine del mondo, illustra molto bene l'industria della piscicoltura, soffermandosi anche su come questo tipo di allevamento sia considerato un'alternativa a minor impatto sul clima, ma in realtà insostenibile, nonché sulle implicazioni legate al benessere degli animali. A questo proposito, l'industria della piscicoltura accetta tassi di mortalità inimmaginabili negli allevamenti terrestri: l'Istituto veterinario nazionale norvegese indica che il 16,7% dei pesci muore prima di arrivare al macello. Il documentario mostra come esistano navi che effettuano macellazioni d'emergenza per rendere commestibili gli animali prima che muoiano, o come l'uso di sostanze chimiche sia ormai una pratica consolidata. Il problema non è solo confinato a realtà come la Norvegia, se pensiamo che il secondo produttore mondiale di salmone atlantico è un Paese affacciato sull'Oceano Pacifico (il Cile!). L'acquacoltura, con la promessa di nutrire il mondo in modo più sostenibile rispetto a qualsiasi altro processo produttivo, può avere un impatto ambientale e sociale devastante: è un'industria alimentare che continua a crescere e che ha di fatto superato da tempo quella delle catture, ma non può essere considerata la “soluzione verde” per il futuro sostenibile del pianeta.
Bibliografia:
Clicca qui per espandere i riferimenti[1] Eurostat, 2023- EU fleets caught 3.4 million tonnes of fish in 2022. Eurostat. https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-eurostat-news/w/ddn-20231121-2
[2] Istat Working Papers, 2024- Statistiche sulla pesca in Italia, uso integrato di indagini campionarie e dati amministrativi. Istat Working papers 4. https://www.istat.it/it/files/2020/05/IWP-4-2020.pdf
[3] Corte dei Conti Europea, 2022- Azione dell’UE per contrastare la pesca illegale. Relazione speciale. https://www.eca.europa.eu/Lists/ECADocuments/SR22_20/SR_Illegal_fishing_IT.pdf
[4] Rountos K., Peterson B., & Karakassis I., 2012- Indirect effects of fish cage aquaculture on shallow Posidonia oceanica seagrass patches in coastal Greek waters. Aquaculture Environment Interactions, 2(2), 105–115.
[5] O’Sullivan C.- 2024- Our survival depends on the ocean – Feedback. Feedback. https://feedbackglobal.org/our-survival-depends-on-the-ocean/
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Immagine di copertina e di anteprima: Fishingboats. Picture by Anastasia Fomina scaricata da Unsplash