20 dicembre 2021

In territorio montano la distinzione tra i vari usi del suolo tradizionali è relativamente semplice: ciò che non è bosco è prato o pascolo e viceversa. E la natura del bosco fa sì che spesso quest’ultimo abbia il sopravvento su tutto il resto.
In effetti, i pascoli sono definiti come «colture foraggere di diversa origine, di diversa composizione floristica la cui produzione viene prelevata in parte o totalmente dall’animale allo scopo di nutrirsi» [1]. Ciò significa che l’attività del pascolamento — e con essa l’uomo — rappresenta per queste zone una vera azione di cura e manutenzione del territorio, oltre che produttiva.
«Il bosco di conifere, ora denso ora rado, è interrotto da chiazze di prato da sfalcio e pascolo» [2], o meglio sia tale bosco è — o al più era — gestito, tagliato e controllato in maniera tale da permettere le tradizionali attività agricole anche su larga parte dei terreni montani e, oggigiorno, boscosi dell’arco alpino. E proprio quel prato da sfalcio e pascolo di cui parla il Sestini nella sua opera rappresenta la principale modalità di gestione del territorio e del paesaggio attuata per secoli dalle comunità alpine e l’unica in grado di assicurare un’elevata diversità tanto paesaggistica quanto e soprattutto biogenetica, essendo tali aree prative habitat prioritario di molteplici specie vegetali e animali [3].
L’abbandono delle zone rurali e montane risulta confermato e studiato quale fenomeno altamente diffuso e comune in tutta l’area alpina, laddove in particolare l’esigenza produttiva postbellica non poté sopportare e supportare quelle tradizionali pratiche di allevamento e agricoltura ad alta intensità di lavoro normalmente praticate fino alla prima metà del XX secolo [4].
L’abbandono che porta a tale riforestazione riflette, in ciò, una profonda crisi delle società rurali montane, con la conseguente perdita non solo delle qualità estetico-paesaggistiche e ambientali che da tali ambienti derivano ma anche di un importante patrimonio socioculturale e tradizionale delle popolazioni che per secoli hanno vissuto e gestito questi territori.
E quindi? Che si fa?
Pratiche innovative fondanti dell’agroecologia quali la multifunzionalità dell’azienda agricola, i Piani di Pascolamento turnato, le sistemazioni idraulico-agrario-forestali, l’agroforestry, il benessere animale e l’etologia collaborativa [5] possono realmente spingere nella direzione dell’integrazione delle varie componenti animali-vegetali-uomo in un’ottica di produzione sostenibile e riqualificazione delle Terre Alte e delle Zone Interne.
L’agroecologia si mostra, in ciò, quale strumento di ripristino — in chiave moderna — di quelle tradizionali pratiche agricole, agronomiche, zootecniche e intrinsecamente paesaggistiche che da sempre hanno guidato lo sviluppo di questi territori. Azioni che per necessità sono state svolte per secoli dai nostri montanari si rivelano oggi — per volontà — quali sistemi innovativi di gestione e produzione.
Risultano fondamentali in tale percorso di innovazione i temi cardine della pratica agroecologica.
Dal punto di vista socioeconomico: un’innovazione che parte dal basso (bottom-up) che preveda la partecipazione attiva e collettiva dei portatori di interesse della zona; studi di ricerca sulla fattibilità e sui risultati ottenuti; formazione degli attori coinvolti (in particolare dei produttori e degli allevatori); l’integrazione di tutte the environmental and production components. By adopting a systemic vision of production, the new business development models will have to include forage making and the reuse of local resources – thus cutting production costs – within their production cycle.
Dal punto di vista più strettamente tecnico, grande importanza al contrasto dell’abbandono — e conseguente rimboschimento — delle cenosi pascolive è data dal ripristino e dalla corretta gestione del pascolo e dell’alpeggio. Senza la pratica dell’alpeggio, l’abbandono è, infatti, inevitabile, non essendoci nessuna alternativa economicamente più sostenibile per territori caratterizzati da molteplici fattori limitanti quali quota, pendenza e difficoltà di meccanizzazione.

Figura 1: Piani di Pascolamento adeguati e corrette pratiche gestionali sono fondamentali a fini di difesa idrogeologica, di salvaguardia della biodiversità e di contrasto al rimboschimento nelle zone montane.
Courtesy of Michela Santacatterina — Malga Novegno, Schio (Vicenza)
Diversi studi e disciplinari di gestione sono stati pubblicati al fine di valutare la corretta gestione del pascolo, considerando in essi tanto gli aspetti più quantitativi che qualitativi della produzione. Corretto carico animale, Piani di Pascolamento adeguati, rimozione tradizionale delle infestanti senza utilizzo di diserbanti chimici, pascolamento estensivo e considerante le zone marginali del pascolo, utilizzo di razze autoctone e rustiche, multitemporalità del pascolo e presenza contemporanea di più specie domestiche, divieto di utilizzo di insilati sintetici per l’alimentazione degli animali nonché molteplici altre pratiche risultano fondamentali per una moderna (tradizionale) agroecologica gestione dell’allevamento. E in effetti tutto ciò si riflette direttamente su tutte le componenti del ciclo: animali, prodotti, allevatori, consumatori, ambiente e paesaggio. Insomma, una scelta imprenditoriale vantaggiosa sotto molti punti di vista.
Si consideri infatti come l’intero paesaggio alpino cui siamo abituati sia profondamente plasmato per mano dell’uomo e che da esso dipenda strettamente. La storia dell’uomo è testimoniata in tali paesaggi e tali ambienti hanno dato modo all’uomo di sopravvivere per secoli. Ora la sfida consiste nel farsi custodi di questo territorio, recuperandone essenze, culture, usi e tradizioni. Il fine, in questo caso, consiste nel non abbandonarlo all’avanzata imperterrita della natura, ma anzi farci noi stessi parte di quest’ultima e considerandoci in essa farci promotori e attori attivi nel processo di gestione e utilizzo di questi territori così come tradizionalmente è stato per millenni qui sulle Alpi.
Bibliografia:
[1] Ziliotto, U. (2004). Tratti essenziali della tipologia veneta dei Pascoli di monte e Dintorni. Regione del Veneto. Direzione Regionale delle Foreste e dell’Economia Montana.
[2] Sestini, A. (1963). Il paesaggio (Vol. 7). Touring Club Italiano.
[3] Sitzia, T. & Trentanovi, G. (2012). Fisionomia e distribuzione dei prati montani (maggenghi) in 150 anni di avanzamento spontaneo del bosco (Val di Pejo, Trentino). Forest@ — Journal of Silviculture and Forest Ecology, 9 (1), 52.
[4] MacDonald, D., Crabtree, J. R., Wiesinger, G., Dax, T., Stamou, N., Fleury, P., Lazpita, J. G. & Gibon, A. (2000). Agricultural abandonment in mountain areas of Europe: environmental consequences and policy response. Journal of Environmental Management, 59 (1), 47–69.
[5] Pisseri, F. (2020). Pratiche agroecologiche per un allevamento sostenibile. Il contributo dell’Agricoltura all’Agenda dell’ONU sulla sostenibilità 2030.
Immagine copertina e di anteprima: Malga Paù alm in the Asiagio highland (Vicenza, Italy). Courtesy of Giovanni Manzardo.
Questo articolo fa parte del progetto “Environmental Blogging Boost 4 Students”, finalizzato all’incremento della diffusione di conoscenze e pratiche agroecologiche nonché quelle per l'utilizzo sostenibile delle risorse idriche in Trentino. Il progetto è ufficialmente sostenuto dal Consorzio dei Comuni della Provincia di Trento B.I.M. dell’Adige (provvedimento concessione n. 100 del 09/06/2021).